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Sempre secondo questa indagine, nel corso degli ultimi cinque anni è aumentata sia la percentuale dei giovani con le retribuzioni più basse, cioè inferiori a 5 mila euro (dal 24,3% del 2016 al 26,9% del 2021), che quella dei giovani con retribuzioni superiori a 30 mila euro (dal 7,6% al 9,3% del totale). I giovani con contratto a tempo indeterminato sono passati in 10 anni, tra il 2011 e il 2021, dal 70,3% al 60,1%, quelli con contratto atipico o a tempo determinato sfiorano adesso il 40%.
Questi dati spiegano il motivo per cui sarà necessario lavorare molto più a lungo. Senza che, nel frattempo, l’aspettativa di vita aumenti in modo corrispondente. E quindi, mentre l’80% dei nati nel 1945 ha ottenuto la pensione prima del compimento dei 65 anni di età, beneficiando dei meccanismi premiali del pensionamento anticipato, solo il 39% dei nati nel 1980 riuscirà a ricevere la pensione prima dei 70 anni (e in questo caso si tratterà comunque di pensionamento anticipato).
In media chi è nato nel 1980 andrà in pensione 5 anni dopo rispetto ai soggetti della generazione precedente, mentre la speranza di vita a 65 anni crescerà solo della metà, due anni e mezzo.
L’indagine calcola anche il valore delle pensioni atteso nei prossimi decenni per i lavoratori dipendenti che oggi hanno meno di 35 anni: per chi riuscirà a lavorare fino al 2057, andando in pensione a quasi 74 anni, l’importo dell’assegno pensionistico ammonterebbe a 1.577 euro lordi mensili (1.099 al netto dell’Irpef), valore che equivale a 3,1 volte l’importo dell’assegno sociale.
Andrà un po’ meglio ai lavoratori con partita Iva (sempre con permanenza fino al 2057 e un ritiro a 73,6 anni): l’assegno pensionistico mensile sarà di 1.650 euro lordi (1.128 al netto dell’Irpef), valore che equivale a 3,3 volte l’importo dell’assegno sociale.
Nel frattempo la spesa previdenziale toccherà il massimo nel 2035, pari al 17,4% del Pil, fino a poi decrescere al 13,3% del Pil nel 2070.
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