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La scorsa settimana al mercato di Bari l’olio extravergine di oliva è arrivato a costare 9,30 euro al litro, a Milano ha raggiunto i 9,40 euro al litro. Sono i prezzi più alti dell’ultimo anno e secondo le previsioni non caleranno sensibilmente nelle prossime settimane. L’aumento è dovuto alle ultime due stagioni di raccolta delle olive, che sono state pessime nei paesi europei dove si produce più olio: Spagna, Italia e Grecia. La grave siccità ha generato una scarsa resa delle piante, e favorito la diffusione di alcuni parassiti. I produttori hanno dato fondo alle giacenze e oggi il risultato di questi problemi è evidente: c’è poco olio e quello disponibile costa più del solito.
In Italia le aziende olivicole sono circa 620mila, di cui poco più del 40 per cento non arriva a due ettari di terreno e solo il 2,5 per cento supera i 50 ettari. La produzione è concentrata soprattutto nelle regioni del Sud, in Puglia, Calabria, Sicilia e Campania, e del Centro, in particolare in Umbria e in Toscana.
Le varietà di ulivo censite sono circa 540. Alcune sono più adatte a produrre olio, altre sono migliori per le cosiddette olive da tavola. Tra le varietà più note per la produzione di olio ci sono la carolea, la coratina, l’ogliarola, l’oliva frantoio, la leccino, la moraiolo, la peranzana, la biancolilla. Le diverse varietà, chiamate tecnicamente “cultivar” (dall’inglese cultivated variety), si differenziano non solo per la qualità dell’olio, ma anche per la capacità di sviluppo della pianta, per la resistenza ai parassiti e per il grado di maturazione che devono raggiungere le olive per estrarre l’olio.
Il più pregiato e costoso è l’olio extravergine di oliva, chiamato anche olio EVO, che si ottiene quando le olive vengono spremute esclusivamente con procedimenti meccanici. Inoltre le analisi chimiche dell’olio extravergine devono soddisfare alcuni parametri fissati dall’Unione Europea: l’acidità, per esempio, deve essere inferiore allo 0,8 per cento. Spesso l’olio extravergine di oliva è estratto a freddo, ovvero mantenendo un livello di temperatura inferiore a 27 gradi. Inoltre, per catalogare l’olio come extravergine vengono fatti i cosiddetti panel test, cioè esami olfattivi e gustativi eseguiti da esperti per verificare che l’olio rispetti certe caratteristiche organolettiche. Se vengono fuori difetti, l’olio non può essere classificato come extravergine anche se spremuto con procedimenti meccanici. In quel caso può essere catalogato come olio vergine o come lampante.
In Italia la campagna olearia a cavallo tra il 2022 e il 2023 è stata scarsa. Sono state prodotte 208mila tonnellate di olio, il 37 per cento in meno rispetto a quella precedente, già deludente. Sono state segnalate flessioni in tutte le regioni. La seconda pessima annata consecutiva è un grosso problema per il mercato: quando la raccolta va male, infatti, il prezzo viene tenuto sotto controllo grazie alle giacenze, cioè alle scorte di olio. Con due annate storte le giacenze si riducono, in alcuni casi si esauriscono, e i prezzi aumentano.
La siccità ha favorito quella che gli agricoltori chiamano “cascola”, ovvero la caduta di olive prima della maturazione. Succede quando, per contrastare lo stress dovuto alle temperature elevate, le piante scartano le olive che non riescono a portare alla fine della maturazione. Molte delle olive che rimangono sugli alberi sono raggrinzite e non tutte possono essere utilizzate per produrre olio. Le abbondanti piogge cadute a maggio non hanno aiutato a risolvere il problema dello stress causato dalla siccità, anzi in molti casi hanno peggiorato le cose perché hanno impedito un’adeguata impollinazione dei fiori e quindi lo sviluppo delle olive. Anche le grandinate hanno fatto la loro parte.
In molte zone d’Italia con queste condizioni si è diffuso un parassita, la mosca dell’olivo (Bactrocera oleae), un moscerino lungo tra i 4 e i 6 millimetri di colore grigiastro. Le sue larve si nutrono della polpa delle olive, dentro le quali scavano gallerie facendole marcire e danneggiando gravemente la qualità dei frutti che rimangono sulla pianta. La femmina della mosca dell’olivo inizia a deporre le uova da giugno a luglio, il periodo in cui c’è maggiore diffusione di questo parassita. Quando l’inverno non è rigido, come è accaduto negli ultimi due anni, la mosca sopravvive e dalla primavera continua a fare danni.
Negli ultimi anni sono stati segnalati sempre più focolai di un altro parassita, la cecidomia dell’olivo (Dasineura oleae) che attacca le foglie della pianta. Gli adulti di questa specie depongono le uova sulla superficie delle foglie giovani: la larva causa malformazioni della foglia poche settimane dopo la schiusa delle uova. In media viene colpito il 50 per cento delle foglie, ma in alcuni territori sono state segnalate infestazioni più gravi, con picchi del 95 per cento delle foglie attaccate.
Bianchini, il presidente della CIA del nord della Toscana, dice che ormai chi produce olio è ben consapevole degli effetti dei cambiamenti climatici, che hanno causato un aumento di fenomeni intensi come siccità e grandinate, oltre che lo sviluppo di parassiti: «Io ho un uliveto secolare con alberi che hanno dai 300 ai 500 anni. Per secoli sono cresciuti in un clima che è molto cambiato negli ultimi dieci anni, un tempo brevissimo. Non so se riusciranno a produrre ancora per molto. Non moriranno perché hanno radici molto profonde, ma temo che diventeranno dei bei monumenti da visitare. Per noi la produzione sarà sempre più limitata».
Anche nella Tuscia, in provincia di Viterbo, è stato segnalato un calo di oltre il 50 per cento della produzione. Quest’anno in Sicilia gli agricoltori prevedono di produrre 30mila tonnellate di olio, molte meno delle 50mila attese in annate normali. Circa 20mila aziende, dice la Coldiretti, hanno esaurito le giacenze e dovranno attendere la pur limitata raccolta di quest’anno per mettere sul mercato altro olio.
Lo stesso sta accadendo in Spagna, il primo produttore mondiale di olio d’oliva. Già nel 2022 il calo di produzione era stato di circa il 50 per cento rispetto all’anno precedente e nel 2023 non è andata meglio. La siccità e le ondate di calore hanno avuto conseguenze molto significative soprattutto in Andalusia, la regione dove si coltiva la maggior parte degli ulivi spagnoli, e dove l’approvvigionamento idrico essenziale per coltivare gli ulivi dipende soprattutto dal fiume Guadalquivir, che da ormai due anni ha livelli bassissimi a causa della siccità. Alla fine di luglio erano rimaste 50mila tonnellate di olio nei frantoi spagnoli, una quantità esigua, che ha contribuito al generale aumento dei prezzi.
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