Menu
Antonio Abate Chechile, di Sala Consilina, è un giovane marketer specializzato in acquisizione clienti e creatore di ClientiStrategici.
Un progetto orientato all'implementazione di strategie, alla
creazione di piani marketing ed all'acquisire clienti attraverso un
metodo da lui considerato innovativo e destinato ad imprese e
professionisti. Il tutto, cercando di eliminare o limitare gli
errori che, a suo dire, spesso si commettono e che conducono a
scarsi risultati o al fallimento. Tesi forse estreme ma di certo
non banali e che potrebbero stimolare il dibattito. Gli abbiamo
posto delle domande per saperne di più
- Cosa vuol dire fare
marketing?
Chi mi conosce, sa bene che non mi piace parlare in accademico o
dare delle nozioni prive di tatto con la realtà. Quindi darò
un'interpretazione del tutto personale sul tema, frutto
dell'esperienza sul campo. Fare marketing oggi è dare uno
scopo alla propria
ragione sociale.
Sembra un concetto contro-intuitivo, vero, ma nel corso degl'anni
ho riscontrato che molte aziende non hanno un vero e proprio senso
di esistere. Sono spesso copie di copie di copie
di altre già presenti in Italia, che nel complesso hanno generato
una crescita esplosiva dell'offerta che, attualmente, supera di
gran lunga la domanda.
Ne viene fuori che non c'è spazio per tutti e che purtroppo molte
aziende sono predestinate a fallire. È normale, è
la legge di Darwin.
Fare marketing oggi è rispondere alla domanda "perché i clienti
debbano scegliere proprio PincoPallino SRL piuttosto che qualsiasi
altra azienda concorrente".
Domanda che nel 90% dei casi non ha una risposta, e che spesso ha
come sbocco il prezzo, la qualità, la cortesia, l'assistenza, il
servizio a 360°.
Insomma, cose riscontrabili un pò ovunque e che oggigiorno ogni
azienda possiede
- Quanto quest'attività fatta bene può
influire sulle dinamiche aziendali e
professionali?
Prima di elencare i benefici sul contesto aziendale, bisogna
dare una chiara definizione sul concetto marketing. Molti
imprenditori credono che sia solamente della pubblicità di immagine
o pubblicità creativa, spesso legata ai social e agli strumenti di
promozione digitali. Pensano che il marketing non sia altro che il
proprio volantino in forma digitale o in chiave moderna.
Ma questa non è una degna definizione di marketing.
La cosiddetta comunicazione non è marketing. Se
esiste così tanta confusione, è perché in molti si
sono improvvisati esperti del mestiere, rifilando agli imprenditori
la solita roba pubblicitaria in salsa diversa. Mi spiace dirlo
così, ma il marketing in Italia è stato completamente travisato dai
vari creativi e dalle agenzie pubblicitarie. Di conseguenza, in
molti hanno iniziato a considerarlo come qualcosa di superfluo o
accessorio, legato appunto ad una questione di immagine
piuttosto che ad un vero e proprio asset per far crescere il
fatturato e gli utili. Il marketing vero, quello fatto bene, si
basa sui numeri del bilancio e sull'analisi del
mercato di riferimento.
È una disciplina che, se ben implementata, risolve molti problemi
di natura economica e finanziaria, in primis sui flussi di
cassa.
Per via della complessità della materia, non tutte le aziende
possono permettersi di fare marketing. Sono necessari alcuni
prerequisiti, tra cui un flusso di cassa adeguato ed una profonda
conoscenza dei KPI aziendali
- E quanto incide il contesto
territoriale in cui si opera sulle strategie di
marketing?
Meno di quanto si possa pensare. Quando si fa del buon
marketing, la zona di appartenenza riveste un ruolo di serie B.
Il territorio potrebbe incidere in situazioni particolari laddove
non vi sia del marketing e si è un po' alla stregua. Quindi a
portare i risultati sono la vicinanza ai nodi autostradali o ad una
grande città ma, ripeto, stiamo forse parlando di cose che contano
meno dello 0,1% sul fatturato di un'azienda.
Piuttosto, la zona incide laddove vi sia zero o poco
marketing.
Basti pensare a tutte quelle aziende che operano nella
distribuzione e che rivendono marchi altrui. Si reggono sul
marketing fatto dalle case madri.
Da un lato questa pratica potrebbe essere una sorta di
cuscino sul quale dormire sicuri, dall'altra
invece è una maledizione perché rende l'azienda
totalmente dipendente dai fornitori, senza riuscire a creare
un'identità differenziante propria.
E creare un'azienda che si basa su un'altra azienda è pericoloso.
Non sono rari i casi in cui i fornitori cambiano le carte in
tavola, arrecando danni economici ai tanti rivenditori
fiduciosi.
Per quanto riguarda, invece, un'azienda in fase di sviluppo, la
zona potrebbe presentare dei pregi e dei difetti, ma non me la
sento di dare una risposta universale. Ci sono tante sfumature di
grigio intermedie.
Credo che a determinare il successo o meno di un'azienda non sia la
zona, ma la capacità di resilienza
dell'imprenditore.
Le difficoltà si presentano ogni giorno, dipende da come si
affrontano
- Qual è, a tuo dire, l'errore più comune di imprese e professionisti?
A questa domanda potrei elencare più errori e fare una bella
lista delle sviste più comuni, però cercherò di essere
breve e trovare un compromesso che vada bene per tutti.
Probabilmente, l'errore più comune è non reinvestire gli
utili negli asset che generano i flussi in
entrata. Non investono nel canale che porta i guadagni all'azienda,
nè nell'acquisizione e nella fidelizzazione dei clienti, ma
preferiscono investire nella produzione e/o sull'ampliamento della
gamma dei prodotti.
L'imprenditore in genere pensa che avere più prodotti, equivalga ad
aumentare le proprie possibilità di vendita.
Ma la realtà dice che è solamente un modo rapido per appesantire
l'azienda dal punto di vista finanziario.
Gli imprenditori vendono partendo dai prodotti offerti, da quel che
hanno tra le mani. Così facendo però, mancano di un punto. I
prodotti sono conseguenze dei desideri
della clientela, non il contrario.
E aggiungo che il Da oggi in azienda facciamo anche questo e
quest'altro nel lungo periodo stronca l'azienda tra i costi e
riduce la capacità di scalare
- E' giusto per un'azienda puntare sull'e-commerce?
Contrariamente a quanto si possa pensare, l'e-commerce nella
maggior parte dei casi non ha un vero e proprio senso di
esistere.
Non posso negare i dati e le statistiche sulle vendite e-commerce
in Italia, ma l'argomento merita di essere approfondito.
Vedo spesso negozi e aziende che aprono e-commerce sperando di
incrementare le proprie vendite, pubblicizzando i prodotti offerti
nel mondo reale.
Dopo l'euforia iniziale, però, si accorgono di essere stati un pò
troppo ottimisti e nella maggior parte dei casi abbandonano il
sogno.
Il punto è che per vendere online sono richieste
molte più competenze di quante ne siano necessarie nel mondo reale.
Soprattutto oggi.
Trattare l'e-commerce come un'estensione del negozio fisico sul
quale diffondere il proprio catalogo prodotti non ha senso e non
funziona.
L'e-commerce ha delle proprie regole, richiede
investimenti e va trattato alla pari di qualunque
altra azienda.
Avere un e-commerce equivale a dire ho una seconda
azienda. Non è una metafora, è proprio così.
Siccome nel 95% dei casi la piccola-media azienda italiana ha
problemi di cassa e fa fatica a generare gli utili, penserei
dapprima a potenziare i flussi finanziari anziché investire su un
e-commerce
- A livello di marketing che ruolo
occupano i canali web e social?
In ogni strategia marketing che si rispetti i canali sono
considerati degli strumenti.
Il ruolo degli strumenti in una strategia di
marketing è rendere esecutiva l'applicazione del piano, ossia
disporre le armi sul campo e far in modo che facciano il loro
lavoro.
In genere gli strumenti sono ciò che vediamo nel marketing, la
punta dell'iceberg, ovvero l'inserzione su Facebook, l'annuncio su
Google, la lettera cartacea, il sito web, ecc.
Il fatto è che focalizzarsi sugli strumenti è la scelta più sciocca
che un imprenditore possa fare.
Non è lo strumento o l'ultima novità del momento a generare le
vendite e il fatturato, ma il loro utilizzo in un piano di
marketing dettagliato. Personalmente, io vendo bene con le vecchie
lettere di vendita cartacee, con i libri, con i kit, con il mio
intervento diretto, ecc.
Spesso mi capita di creare strategie marketing che
prevedano addirittura zero strumenti digitali, in un mondo sempre
più 4.0. Ma perché?
Il motivo è semplice. E' la strategia marketing a determinare la
scelta degli strumenti, non viceversa.
Ciò che rende efficace uno strumento è la padronanza della
strategia.
Ogni strumento, digitale o meno, ha un proprio tempo e ragione di
essere impiegato. Non esiste strumento meno efficace/più efficace.
E' l'utilizzo a decretare il risultato.
Per un'azienda quindi, puntare su uno strumento solamente perché va
di moda non è un approccio corretto.
Come in ogni cosa, anche gli strumenti si saturano. In un contesto
saturo, a parità di strumento la vince la strategia. Sempre.
Cookie
Questo sito web utilizza i cookie
Questo sito utilizza cookie tecnici, analytics e di terze parti.
Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo dei cookie.
Leggi di più